La misurazione del tempo
durante il Medioevo
Nel Medioevo la misurazione del tempo era un lusso riservato ai potenti. Il popolo obbedisce (scrive il medievista Le Goff) al tempo imposto dalle campane, dalle trombe e dagli olifanti.Le tre categorie di persone in cui si divideva la società medievale - il chierico, il cavaliere, il popolano - si basavano su punti di riferimento diversi per il suo calcolo.
- Il tempo del popolo è sostanzialmente regolato dal ritmo scandito dalle incombenze del lavoro nei campi: il giorno e la notte, le stagioni, il raccolto e la semina.
- Il tempo signorile è invece regolato dagli obblighi militari richiesti o prestati in qualità di vassallo
- Per i religiosi invece mentre le preghiere scandivano il ritmo della giornata, le feste liturgiche scandivano il passare dei mesi.
Il suono delle campane, unico tempo quotidiano misurato, regola comunque la vita di tutti.
L'ANNO E I MESIIl calendario più usato nel Medioevo ed oltre, è quello che discende dalla riforma operata in epoca romana da Giulio Cesare e che pertanto viene definito "giuliano».
Era composto di 12 mesi ma con un numero variabile di giorni, da 28 a 31, secondo un'arbitraria sistemazione.
L'anno cominciava il primo di marzo e i mesi prendevano il nome dalle principali divinità (gennaio da Giano, marzo da Marte, maggio da Maja, giugno da Giunone), oppure dai due primi imperatori (Giulio, Augusto) o ancora, più semplicemente, dalla loro collocazione nella graduatoria: così che il settimo era settembre, l'ottavo era ottobre, il nono era novembre, il decimo era dicembre.
Quanto a febbraio, il suo nome era derivato dalle cerimonie di purificazione (februare = purificare) che in quel mese avevano luogo, mentre aprile viene ricondotto a Venere, anche se l'etimologia è incerta.
Nei documenti medievali è riportato invariabilmente, in apertura, un indicatore oggi desueto: il numero dell'Indizione. Si tratta un numero ordinale compreso tra uno e quindici; considerata parte funzionale della data, l'Indizione venne mutuata dall'antichità romana: essa infatti designava l'intervallo di quindici anni tra due successive levate di tasse.Le feste liturgiche poi sono un punto di riferimento per la vita sociale ed economica. Secondo la regola fissata nel VI secolo da Dionigi il Piccolo, abate di un monastero romano, la Pasqua doveva essere celebrata la prima domenica dopo la luna piena successiva all'equinozio di primavera.
Le altre feste mobili (Ascensione e Pentecoste) variano in relazione alla Pasqua, essendo fissate rispettivamente 40 e 50 giorni dopo di essa.
Quanto al Natale, la Chiesa riuscì ad occupare la data del 25 dicembre, sostituendolo alla festa solare pagana del Sol invictus.
I GIORNI E LE ORENel Medioevo i mezzi per misurare la scansione della giornata erano rudimentali e legati a fenomeni naturali: venivano usate le meridiane e orologi ad acqua, le clessidre (dal greco klepsydra: kleps = ruba, e ydra = acqua). Orologi ad ingranaggi azionati con pesi sono utilizzati solo a partire dal XIII secolo.
La vita monastica esigeva il rispetto e l'osservanza di una precisa partizione del giorno.
Nei conventi un monaco era incaricato di sorvegliare il ritmo delle ore. Verso le due di notte questi suonava la campana della preghiera; deducendo l'ora dal sorgere delle stelle. Poi cantava un certo numero di salmi, finché dava il segnale di alzarsi; il numero dei salmi variava mese per mese. Il giorno cominciava al mattino con la levata del sole, quando si aveva l'hora prima.
Le ore erano 12 per il giorno e 12 per la notte, ed essendo legate al ciclo solare avevano una durata diseguale nelle varie stagioni: d'estate erano più lunghe le ore diurne rispetto a quelle notturne, d'inverno accadeva il contrario. Alcune ore poi, essendo quelle stabilite come momento della preghiera giornaliera dei monaci, erano divenute particolarmente importanti per tutti ed erano dette canoniche, così suddivise: mattutino, prima, terza, sesta, nona, vespro, compieta.Con il diffondersi del monachesimo benedettino assunse maggior importanza fra tutte l'ora nona (corrispondente all'incirca alle ore 15), perché in quel momento il monaco doveva smettere il lavoro e recarsi al refettorio, e quindi segnava la principale interruzione della giornata.