Il paesaggio collinare nel Medioevo
L'uomo medievale aveva di fronte a sé un paesaggio complesso ed articolato, dove il bosco coltivato - bosk, termine di origine germanica le cui prime attestazioni nel secolo IX e X spettano al Piemonte - occupava spazi di foresta spontanea e dove vigne, campi e prati creavano dei varchi nel manto vegetale.L'antropizzazione del territorio si fece più evidente a partire dal X secolo in coincidenza con la ripresa della crescita demografica che si arrestò solo a metà del secolo XIV quando le epidemie decimarono la popolazione.
Scarsi sono i documenti relativi al territorio collinare in epoca altomedievale (dall'anno 950 al 1050 solo diciannove) ma la situazione migliora nei secoli successivi, rendendo possibile una ricostruzione, seppur parziale e imperfetta, dell'habitat.Il bosco di farnia e rovere, puro o associato con il castagno, occupava i terreni più scoscesi e meno produttivi dei versanti collinari e forniva un prezioso contributo all'economia agricola. Le carte ricordano il bosco di Montanea lungo lo sperone che divide le attuali val Cuniolo e val Mairana, il bosco di Malavasium in val San Martino, il "Nemus Cellarum" (1) fra Trofarello e Revigliasco.1. Nemus è un termine piuttosto raro, utilizzato dai Romani per indicare un bosco sacro alla dea Diana.
Le fronde erano conservate per l'alimentazione invernale del bestiame, la corteccia di farnia veniva utilizzata per conciare le pelli, le ghiande servivano per l'allevamento brado dei maiali e le castagne &endash; coltivate su vasti territori in Piemonte a partire dal secolo XI &endash; insieme ai legumi e ai cereali costituivano la base proteica dell'alimentazione.
Completavano la vegetazione arborea piante spontanee e non, come il pero, il melo, il nespolo, il noce, dai cui frutti si ricavava un olio molto usato nell'alimentazione e come combustibile per le lampade, il nocciolo, il melo cotogno, il mandorlo, il sorbo, il ciliegio (amarena, duracena, visciola), il fico e l'olivo, la cui presenza era documentata sul versante meridionale della collina.
Il paesaggio cambiava sensibilmente in prossimità dei comuni e dei borghi rurali, i quali strutturarono il territorio circostante in modo tale da soddisfare le esigenze di approvvigionamento delle comunità.Vicino alle abitazioni, recintati da siepi, erano gli orti, nei quali si coltivava &endash; liberi da decime e spesso da canone &endash; ogni tipo di ortaggio (ad eccezione di fagioli, patate, peperoncino, peperone, pomodori e mais, importati successivamente dalle Americhe) e una grande varietà di erbe aromatiche che servivano per sostituire il sale e le spezie.Poco distante, campi coltivati a legumi (ceci, dòlici d'Egitto, fave, lenticchie, piselli), a canapa e a zafferano, usato come colorante e spezia, si alternavano a vigneti che, situati nei terreni meglio esposti, erano forse l'elemento più caratterizzante del paesaggio. I vigneti, sebbene frazionati (in media non superavano le 50 tavole) erano numerosi e producevano anche vini di buona qualità ottenuti da uve Nebbiolo.
In conclusione l'impressione che si ricava è quella di un territorio sfruttato razionalmente dove le eccedenze alimentari erano commercializzate nei vicini centri di pianura attraverso una fitta rete stradale, e con una radicata presenza umana stimabile a metà del XIII secolo in una cinquantina di borghi rurali (in gran parte situati sul versante meridionale e orientale dove migliori erano i terreni e le condizioni di insolazione) oltre a numerosi cascinali sparsi ("sedimen").