Monete medievali in Piemonte


Fin dalla romanità sono esistite due classi di monete: una di elevato valore unitario, per i regolamenti finanziari nell'ambito di stati e ceti elevati, una di basso contenuto, destinata a svilirsi, per i ceti meno abbienti. Alla caduta dell'Impero Romano la prima era rappresentata dal "solido" (coniato nell'Impero d'Oriente e poi a Bisanzio), la seconda dalla "siliqua" d'argento e dalle monete divisionali di rame (follis, maiorina, ecc.).


Con l'inizio del Medioevo in Occidente cessò la monetazione.

I ceti bassi tornarono al baratto, quelli alti usarono le monete d'oro provenienti da Bisanzio o dall'Islam (dinar). Fino a Carlo Magno fu quindi in vigore il monometallismo aureo, ma l'avvenuta interruzione degli scambi con le aree citate portò alla scomparsa dell'oro.

Le miniere europee, però, producevano argento in abbondanza: Carlo Magno poté così effettuare una grande riforma monetaria con l'instaurazione del monometallismo argenteo in luogo di quello aureo. Egli introdusse, nel 774, la prima moneta coniata in Occidente dalla caduta dell'Impero Romano: il "denaro" d'argento.

I vecchi "solidi" vennero agganciati al nuovo sistema secondo la seguente parità:

1 SOLIDO AUREO = 12 DENARI ARGENTEI

L'oro era valutato 4,5 volte rispetto all'argento.


Nel secolo XI, però, la situazione andava rapidamente mutando.

La necessità di una sempre maggiore quantità di denari fece aprire nuove zecche, che per soddisfare la domanda produsse denari via via più sviliti e impuri.

L'impoverimento della moneta d'argento determinò a sua volta notevoli tensioni inflazionistiche. Si cercò di rimediare creando un multiplo del denaro, il "grosso", una buona moneta d'argento coniata nel Nord Italia tra la metà del XII e la metà del XIII secolo. Questo provvedimento si dimostrò, trascorso poco più di mezzo secolo, del tutto insufficiente.

La ripresa dei commerci con il Levante e con l'Islam aveva nel frattempo riportato molto oro a Genova e a Firenze. I tempi erano quindi maturi affinché a Firenze, nel 1252, venisse nuovamente coniata in Occidente una moneta d'oro: il "fiorino".

Le parità erano le seguenti:

1 FIORINO = 10 GROSSI = 240 DENARI


Anche l'area piemontese fu caratterizzata dal processo appena descritto, anche se con tempi e modi differenti.

Il comparire della produzione di monete è legato fin dall'inizio alla presenza di casa Savoia. La costituzione di nuove zecche (la prima fu Susa nell'XI secolo) fece sì che il nuovo circolante si affiancasse e prevalesse nettamente su quello esistente (circolavano già denari carolingi e denari imperiali con i tipi di Ottone ed Enrico II).

La prima moneta coniata dai Savoia fu il denaro "secusino" d'argento, in uso fino alla fine del XIII secolo.
Peso e bontà delle monete erano determinati facendo riferimento al marco di Troyes, misura ponderale pari a quasi 250 gr., e ai suoi sottomultipli:

1 MARCO = 8 ONCE
1 ONCIA = 24 DANARI
1 DANARO = 24 GRANI

Le bontà dell'oro e dell'argento si misuravano,
rispettivamente, come segue:

- ORO
1 ONCIA (di "fino") = 24 CARATI
1 CARATO = 24 GRANI

- ARGENTO
1 ONCIA ( di "fino") = 12 DANARI
1 DANARO = 24 GRANI

Agli zecchieri veniva indicato il titolo (percentuale di metallo fino) e il numero di pezzi che si dovevano produrre per marco.

Il primo denaro secusino presenta un peso già assai ridotto e quelli successivi si diversificheranno in "forti" e "deboli" in base al loro peso e titolo.

La progressiva riduzione del titolo fa sì che alla fine del XIII secolo si produrranno solo più denari in "mistura". In tale periodo avviene la sostituzione del denaro secusino con quello "viennese" (da Vienne, presso Lione). Fatte rare eccezioni (denaro imperiale, denaro astense, ducato genovese, ecc.), nel XIV secolo circolano solo denari viennesi, nelle loro quattro specie: "del principe", "correnti", "esperonati", "escucellati".


Nel 1297 Amedeo V fa coniare il "grosso di Piemonte", prodotto in 101 pezzi al marco con un titolo di danari 8.12 d'argento. Nel 1352

Amedeo VI introduce la monetazione aurea coniando il "fiorino", prodotto in 69,5 pezzi al marco con un titolo di 23,5 carati d'oro.

I rapporti di cambio originari erano i seguenti:

1 FIORINO = 10 GROSSI
1 GROSSO = 20 DENARI VIENNESI


Il grosso si mantiene abbastanza stabile rispetto al fiorino fino alla fine del XIV secolo, mentre il denaro viennese presenta diversi andamenti rispetto al grosso, in funzione delle varie tipologie in cui si articola.

Così il denaro escucellato e il denaro esperonato restano costanti, mentre il denaro del principe e quello corrente si svalutano nettamente.

La diversificazione tra moneta forte e moneta debole trovava, allora come oggi, un preciso riscontro nell'utilità che essa aveva per il mercato. Essa, infatti, era funzionale a precisi interessi e rapporti di forza che caratterizzavano le parti contraenti.

I castellani tentavano un'azione di difesa contro la svalutazione della moneta sia aumentando le entrate espresse in moneta debole sia ancorando ai fiorini e ai grossi le entrate più antiche, per le quali era più difficile modificare contrattualmente l'importo.

Ma la moneta che durante il secolo XIV si diffuse sempre più, per una inevitabile legge economica, fu quella debole, il denaro viennese del principe.

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