La collina torinese in età preistorica
I dati preistorici relativi alla Collina torinese, così come è accaduto per l'area urbana della stessa Torino, sono stati per anni notevolmente scarsi e, soprattutto, decisamente antiquati: i principali ritrovamenti dell'epoca preromana, infatti, risalivano all'Ottocento (in più di un caso ai primi decenni!) e agli inizi del Novecento.Si trattava di un periodo in cui la scienza archeologica, e in particolare la ricerca preistorica, doveva ancora trovare quella raffinatezza, precisione e, soprattutto, esperienza che la contraddistinguono oggi; quello che veniva rinvenuto, dunque (si parla di manufatti principalmente ceramici) era sovente mal interpretato, anche perché le cronologie erano ancora poco note e si tendeva a chiamare "neolitico" qualunque reperto di tipo "primitivo".A peggiorare la situazione, si aggiunga che tutti i ritrovamenti avvenivano in situazioni poco controllate, che hanno causato la perdita di rilevanti dati archeologici legati, ad esempio, alla stratigrafia del terreno: è questo il caso dei siti di Sassi, Sciolze e Bric della Maddalena.
Si consideri, infine, che la frenetica urbanizzazione che ha interessato la collina a partire dal XIX secolo (e che in anni più vicini a noi ha rasentato e spesso travalicato il limite dell'abusivismo e della speculazione edilizia) ha sicuramente causato la perdita irreparabile di gran parte delle vestigia archeologiche preistoriche, tipicamente fragili e di non facile identificazione.
Come vedremo più avanti, negli ultimi anni nuovi dati sono giunti a dare un po' di luce sul passato nebuloso della preistoria collinare, per quanto si parli di una preistoria piuttosto prossima a noi (XIV - I sec. a.C.), mentre restano avvolte nella nebbia le dinamiche dei popolamenti neolitici, mesolitici e paleolitici; i ritrovamenti riferibili a queste epoche sono infatti desolatamente scarsi, quando non del tutto assenti.
Quel che è certo, analizzando anche solo superficialmente la struttura della collina torinese, è che essa ha ed ha avuto tutti i numeri per essere scelta da popolazioni preromane come luogo privilegiato di insediamento: dispone infatti di luoghi elevati sui quali attestarsi per difendersi e osservare il territorio, è ricca di sorgenti e di torrenti, abbonda il legname per costruzione, non mancano i giacimenti di argilla per la realizzazione di manufatti ceramici e, sicuramente, non deve essere mancata la selvaggina e neppure la possibilità di aprire varchi nella vegetazione arborea da destinare alle coltivazioni ed all'allevamento.Un ambiente ideale, dunque, per viverci.
Dei vari e sporadici ritrovamenti preistorici sulla collina torinese riportiamo qui cinque esempi, i più eclatanti; tre di essi sono stati effettuati a cavallo tra i secoli XIX e XX, gli altri due sono molto più recenti (anni Novanta) e si debbono all'opera di ricognizione del Gruppo Archeologico Torinese ed al successivo intervento e studio a cura della Soprintendenza Archeologica del Piemonte.
Borgata SassiÈ uno dei più antichi recuperi, risalente al 1876, effettuato in una cava; essa restituì due oggetti che testimoniano la presenza neolitica nell'area collinare: una lama di ascia litica in diorite e un "anellone" anch'esso litico, levigato, di coassite. Null'altro si conosce di questo interessante sito, che verosimilmente è scomparso con il progredire della cava e, se altrove ne esistevano lembi intatti, questi non sono stati mai trovati o riconosciuti.
Bric di SciolzeIl rinvenimento si deve, come riporta Federico Sacco (Atti della Reale Accademia delle Scienze, LIX -1924) un po' al caso e un po' all'intuizione dell'autore, ed è avvenuto nel corso di una ricognizione che aveva tutt'altro fine.
"Nell'estate del 1885 passeggiando col compianto Conte L. di Rovasenda sulla collinetta (Bric) della sua villa presso Sciolze in cerca di fossili, egli mi fece osservare una speciale terra brunastra che appariva sul fronte meridionale di detto rilievo [ ]. Venutomi il sospetto che si trattasse di materiale carbonioso di antico focolare, pregai l'ottimo amico di far eseguire uno scavo dal suo giardiniere; [ ] grande fu la nostra contentezza quando, a circa mezzo metro dalla superficie, in terreno rimaneggiato, apparvero vari cocci di stoviglie grossolane, rossiccie e brunastre, lisce od ornate da semplici graffiti [realizzati a crudo], nonché qualche ossame che mi parve di Cervide, materiale che portai a Torino per studio. In seguito il Rovasenda fece allargare ed approfondire lo scasso ricavandone altro materiale, ma analogo a quello scavato sul principio".
Benché probabilmente il Sacco sbagli, senza colpa, datando al Neolitico materiale che tutt'al più è riferibile alla fine dell'età del Bronzo e maggiormente all'età del Ferro, è invece correttissima l'osservazione con cui chiude l'articolo:
"La posizione elevata e dominante del Bricco di Sciolze rende logica e naturale tale abitazione dell'uomo primitivo sui Colli torinesi, lasciandoci supporre che altre consimili già esistettero nelle parti alte di dette Colline, dove però l'erosione naturale, la costruzione e la coltivazione devono averne quasi distrutte generalmente le tracce".Il sito, segnalato dal Barocelli nel 1925, venne scoperto lungo la strada che conduceva alla vetta. Anche in questo caso conviene cedere la narrazione direttamente allo studioso, che cita il ritrovamento negli Atti SPABA del 1921-1925 (editi nel 1926).
"Non lungi dal luogo ove vennero in luce tombe romane [ ], la strada carrozzabile che conduce al passo, poco più di cento metri prima di questo, è stata da tempo tagliata in un terreno contenente evidenti avanzi di una stazione preromana. Questi estendevansi per una trentina di metri: [ ] al lato sterrato [della strada] affioravano numerosissimi piccoli frammenti di vasi fatti senza uso del tornio, di impasto rossiccio o grigio, granuloso, simile a quello della ceramica neolitica, ed in genere preromana [ ]. Nell'esame delle forme si osservarono alcuni fondi piani; frequenti le forme tondeggianti e caliciformi, talora anche carenate. Su alcuni frammenti le decorazioni ricorrenti dei vasi neolitici e rimasti in uso anche nelle successive epoche preromane: puntini piuttosto profondamente incavati, piccole depressioni circolari disposte in linee orizzontali, cordoni sporgenti ornati di impressioni fatte col dito o colla stecca, fasci di lineette a zig-zag [ ]: mal si distingue in tutto questo materiale una età o età successive".Alcuni elementi litici (una lama in selce, un ciottolo di quarzite) indicarono al Barocelli che probabilmente ci si trovava di fronte a resti neolitici, ma nei suoi scritti lo studioso non si sbilancia troppo poiché, come dice lui stesso, l'età del materiale "mal si distingue" dal momento che mancano riferimenti stratigrafici.
Sulla sommità di questa altura si trovano notevoli resti murari che gli abitanti del luogo hanno sempre indicato come una "chiesa" (dal momento che i documenti parlano di un'edificio dedicato a S. Vito e/o S. Vittore) e gli stessi storici locali erano caduti in errore. In realtà si tratta di una fortificazione medievale, sorta sul medesimo sito di un precedente insediamento dell'età del Ferro.Sono state le ricognizioni del G.A.T. (generate dalle intuizioni del socio Giuseppe Zucco, nel 1991) che hanno seguito "su strada" il percorso che lo studioso Settìa aveva tracciato "a tavolino". Nell'indagare il vallo che circonda il Bric, realizzato in età medievale, sono stati rinvenuti frammenti protostorici in superficie che una successiva analisi ha datato alla seconda età del Ferro (ca. V-III sec. a.C.). Le indagini archeologiche sulla sommità condotte a cura della Soprintendenza Archeologica del Piemonte (dott.ssa G. Pantò e, per lo studio dei materiali protostorici, dott. F. Gambari) hanno evidenziato l'esistenza di una capanna celto-ligure, per metà asportata durante le fasi di fortificazione medievale. Il materiale rinvenuto, non ancora pubblicato interamente, è ancora oggetto di studio.
Si tratta senza dubbio di uno dei più interessanti insediamenti protostorici della collina torinese, insieme a Bric S. Vito. Il materiale emerso è notevole sia come quantità che come qualità della ceramica e delle decorazioni. Anche questo sito è stato rinvenuto in ricognizione dal G.A.T., benché notizie di sporadici ritrovamenti di ceramica protostorica fossero già note da anni.Nel 1995, però, è stato possibile individuare una porzione cospicua di quell'insediamento protostorico che altrove, nel Medioevo, è stato sepolto dal Castelvecchio medesimo e che, dunque, non è facilmente indagabile. Per una descrizione del sito, attualmente in fase di studio, vedi la sezione "Castelvecchio, il sito protostorico".
Per chiarezza, per "protostoria" si intende un periodo di cui non si hanno documenti scritti diretti (i Celto-Liguri non hanno lasciato letteratura) ma solo indiretti (gli autori latini hanno parlato di loro). Per "preistoria" si intende un periodo storico i cui unici documenti sono di tipo archeologico (il Neolitico - 6000 anni fa - è preistoria).
Più brevemente, nella nostra zona la protostoria ha inizio al termine dell'età del Bronzo (X sec. a.C. circa) e termina con l'arrivo dei Romani (II-I sec. a.C.).
Questa suddivisione preistoria-protostoria, ritenuta oggi semplicistica, è stata messa in discussione; attualmente i confini tra le due epoche vengono stabiliti anche in base ad articolate considerazioni di carattere culturale e etnografico.