L'acquedotto romano di Chieri


Il rinvenimento di tratti dell'acquedotto è stato, per lungo tempo, la scoperta più significativa di Chieri romana: risultava la prima evidente testimonianza che nei pressi o nel luogo dell'attuale città sorgeva un nucleo abitato identificabile con la Carreum Potentia ricordata da Plinio il Vecchio nella sua "descriptio Italiae".

L'importanza di questo acquedotto, come nota la studiosa Cristina La Rocca-Hudson, deriva dal fatto che Chieri sorge su terreno fortemente calcareo, per cui l'acqua proveniente dal sottosuolo non risulta potabile; per di più non vi sono sorgenti naturali nelle sue immediate vicinanze. Questo problema si è protratto nella zona fino ai primi decenni del nostro secolo, e pertanto si può affermare che l'età romana è stato il solo periodo del passato in cui Chieri ha avuto un approvvigionamento idrico adeguato.

L'acquedotto rimane l'unica struttura chierese nota dell'intero complesso di servizi pubblici che di norma caratterizzavano gli impianti urbani di età romana (terme, mercati, teatri, anfiteatri, templi). Ma di esso nel tempo si erano perse quasi completamente le tracce, comprese quelle storiche ed archivistiche.

È grazie a Riccardo Ghivarello, studioso di storia locale attivamente impegnato nella ricerca di documenti romani nella zona, che negli anni '30 si giunge all'identificazione dei resti e alla prima ricostruzione del tracciato dell'acquedotto romano, affiancando alle ricerche sul territorio le testimonianze orali degli anziani del posto, così da lui riportate:

"nella campagna tra Chieri e Pino, e specialmente tra i vecchi della forte e laboriosa gente di Valle Miglioretti, l'antico Monchoyrasso o Moncajrasco ricordato nell'appendice al Trattato di Mairano del 1200 col nome di Canale o di Canà del Diavolo, si è serbata viva la memoria di un canale che, nel tempo dei tempi, proprio di là partiva per condurre a Chieri l'acqua di quelle sorgive".

In questa tradizione egli ravvisa un saldo fondamento storico,

"appena sfiorato dalla leggenda […] molto diffusa tra il popolino […] secondo la quale la Canà del Diavolo sarebbe stata costruita per mandare a Chieri, non l'acqua, ma il vino durante l'assedio di Federico Barbarossa"

e, secondo un'altra leggenda, sarebbe servita a trasportare

"in una custodia di pelle e spinta dall'acqua, la posta che dal castello di Montosòlo veniva spedita a Chieri".

In effetti, l'acquedotto in origine doveva collegare la collina di Pino Torinese con Chieri, per un tratto di 5 km, partendo da Tetti Miglioretti, da cui giungeva al Ponte del Nuovo, seguendo poi la riva destra dei torrenti Valgola e Tepice ed entrando in Chieri non verso il centro della città bensì in direzione della necropoli romana, all'imbocco della strada di Roaschia con il viale Fasano, dove venne portato in luce un tratto di acquedotto. [scheda tecnica]


Nelle aree limitrofe alla città sono state rinvenute altre opere idriche; in particolare, nel 1960 (in regione Maddalena, località Fontaneto), la struttura perimetrale di un edificio in muratura (4,80 m di lunghezza e 2,20 m di larghezza) con tre vasche rettangolari, della capienza di circa 1.000 litri l'una, tra loro comunicanti, con rivestimento interno impermeabilizzante di cocciopesto, che si dicevano alimentate da una piccola sorgente alla quale la regione di Fontaneto doveva il proprio nome.

Di questo triplice bacino si è inoltre supposto un uso pubblico, sia per l'accuratezza della costruzione, sia in considerazione del valore del "bene acqua" nel periodo storico in questione, sia per la connessione della costruzione stessa con un edificio attiguo, composto di due locali forse anch'essi comunicanti, uno absidato (6 x 4 m) ed il secondo a camera (3 x 2 m).

L'edificio è stato identificato con un tempietto eretto in onore di un'ignota divinità in quanto nella zona degli scavi sono stati ritrovati frammenti di ogni genere (oltre che di ceramica anche di vetro e di metallo), che coprono un arco temporale piuttosto esteso dalla tarda età augustea al III sec. d.C., tra i quali fondi di vasi su cui erano impresse le lettere "V S", presumibilmente le iniziali dell'espressione "votum solvens", vale a dire oggetto offerto agli dei in conseguenza di un voto; la stessa origine religiosa è stata attribuita alle tre vasche, riconosciute quindi come complesso annesso al tempio e riservato alle abluzioni purificatrici o alla raccolta di "acqua santa" da parte dei fedeli.

Un'altra interpretazione dà un'impronta più marcata a tale ipotetico utilizzo: si tratterebbe di un "santuarietto rustico" collegato a un ipotetico culto delle acque tipico del chierese (un esempio sarebbe rappresentato dal culto della Madonna della Fontana a Riva di Chieri), riconducibile al substrato celto-ligure e parecchio diffuso nella Gallia Cisalpina, successivamente travasato in ambiente romano attraverso le figure delle tre dee Matrone, personificazione femminile delle forze creatrici e guaritrici, spesso rappresentate insieme e il cui numero corrisponde in modo evidente a quello delle vasche.

Tuttavia questa identificazione non sembra incontrare oggi il favore degli studiosi soprattutto in considerazione della già citata penuria di acqua del territorio; sembra più probabile pensare ad una fonte per il rifornimento idrico delle zone che non erano servite dall'acquedotto; ancor più genericamente l'insieme delle strutture rinvenute è stato definito "complesso suburbano".

In tale ottica è stato anche ipotizzato, seppur con cautela, che l'acquedotto non avesse termine a Chieri ma proseguisse per servire il territorio extraurbano, sicuramente popolato, come dimostrano le numerose testimonianze archeologiche, cosa che giustificherebbe altresì il passaggio dell'acquedotto stesso di fianco alla città romana e non al centro; pertanto il bacino tripartito sarebbe stato alimentato da questo ulteriore tratto del canale. Recenti scoperte mettono però in dubbio tale ipotesi.


L'unico possibile riferimento cronologico per datare l'acquedotto è offerto dai resti di un'iscrizione commemorativa monumentale, trovati nel XVIII secolo su alcuni blocchi di marmo bianco combacianti, successivamente ricongiunti e murati in ordine erroneo nella villa "La Commenda" di Amedeo Lavy.

Xv(ir) s(t)lit(ibus) iud(icandis), q(uaestor), tr(ibunus) pleb(is), leg(atus) pro pr(aetor)…

Tale iscrizione menzionerebbe la carriera politica di un personaggio di ignota identità operante nel territorio di Carreum in piena età imperiale (I-II secolo d.C.), età desunta dai caratteri paleografici del testo; il suo rinvenimento in località forse prossima al bacino collettore in Valle Miglioretti presso Tetto Rio, e vicino al supposto tracciato della via Fulvia, ha condotto all'ipotesi che il nome dello sconosciuto magistrato fosse legato alla costruzione o al restauro di opere pubbliche, tra cui lo stesso acquedotto.


Recenti indagini archeologiche effettuate nel centro di Chieri, oltre ad aver restituito per la prima volta dati significativi per la comprensione dell'abitato romano (che, si è visto chiaramente, poggia sul medesimo sito di un insediamento protostorico celto-ligure), ha consentito di aggiungere un significativo tassello al lacunoso puzzle dell'acquedotto romano; nel corso degli scavi che hanno interessato il palazzo Bruni è infatti comparsa una vasca di raccolta, probabilmente la parte terminale della rete idrica legata all'acquedotto.

Tale vasca, che doveva avere un aspetto monumentale benché oggi non ne resti che la base quadrata, trovava collocazione all'interno di una vasta piazza dotata di portici.


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