Castelvecchio
il sito protostorico


La scoperta

Il Castelvecchio di Testona (Moncalieri) sorge su un'altura all'incrocio fra la strada San Michele e la strada Castelvecchio a quota metri 360, su una scoscesa propaggine collinare delimitata da due rii denominati di Castelvecchio (o Rulla) l'uno e dei Negri l'altro.

Al principio del 1995, nell'ambito del progetto di rivalutazione della Collina Torinese dal punto di vista storico-archeologico, alcuni volontari del G.A.T. hanno rinvenuto i resti di un consistente insediamento archeologico di età protostorica, subito segnalato alla Soprintendenza Archeologica del Piemonte; la scoperta di una vasta zona che si presentava costellata di frammenti ceramici si deve anche ai crolli e all'intenso dilavamento a cui essa fu sottoposta durante l'alluvione del 1994.

L'indagine di superficie (condotta dal Gruppo Archeologico Torinese sotto il controllo della Soprintendenza Archeologica del Piemonte - dott. Filippo M. Gambari) e i successivi lavori di recupero archeologico hanno provato che l'area sulla quale poi sorse la fortezza medievale fu intensamente frequentata tra la fine dell'età del Bronzo (XIV sec. a.C.) e tutta l'età del Ferro (X-I sec. a.C.),

In passato, in occasione di interventi occasionali all'interno del castello, erano già stati segnalati sporadici e poco significativi rinvenimenti di ceramica preromana, peraltro scarsamente documentati, ma, prima di questo fortunato ritrovamento, non era stato possibile comprendere la straordinaria importanza del sito.


Il lavoro svolto

I sondaggi e le indagini archeologiche effettuate essenzialmente nell'area nord-est del castello hanno evidenziato l'esistenza di una fase protostorica. Purtroppo il materiale, molto frammentario tranne qualche rarissima e fortunata eccezione, si trova in giacitura secondaria, condizione probabilmente originatasi durante i lavori che, nel Medioevo, interessarono l'area del castello e le sue immediate adiacenze per ricavare un fossato difensivo.

Benché nel caso del sito di Castelvecchio non si possa parlare di "scavo archeologico", essendo il materiale recuperato in crollo, si è comunque deciso di procedere con un approccio di tipo stratigrafico. Questa iniziativa è stata successivamente premiata dai materiali e dai dati rinvenuti.

I lavori sulla scarpata, nel 1995, sono iniziati con la decespugliazione di una vasta area (circa 780 mq) e con la raccolta di superficie di quanto emergeva. Successivamente si è provveduto alla creazione di un percorso e di un sistema di piccole terrazze atte a raggiungere le aree di scavo, a rinforzare la scarpata medesima e a garantire la sicurezza dei volontari. L'area è stata poi suddivisa in quadrati di 4 m di lato sui quali hanno lavorato i volontari del G.A.T. negli anni dal 1995 al 1998.

Le unità stratigrafiche indagate hanno fino ad oggi restituito circa 30.000 reperti, prevalentemente ceramici ma anche litici, metallici e frammenti ossei. Tutto il materiale ceramico è stato lavato, schedato, disegnato e infine consegnato presso il Museo di Antichità.

I volontari del G.A.T. hanno anche partecipato alle operazioni di indagine svolte dalla Soprintendenza sulla sommità del sito, ovvero sul pianoro che lo sovrasta; tale indagine, condotta scavando due lunghe trincee, non ha però dato i risultati sperati: non è stato rinvenuto nulla di archeologicamente rilevante.

Come nota a margine dei lavori, si rimarca come l'operazione di recupero archeologico abbia anche consentito di "bonificare" l'area del torrente sottostante al sito, con la creazione di argini e la copertura di una discarica abusiva, realizzando un intervento archeologico che non ha aggredito l'ambiente circostante ma, anzi, lo ha valorizzato.


I materiali

L'intervento archeologico sulle pendici del Castelvecchio ha permesso di recuperare informazioni preziose sul sito protostorico. I materiali raccolti, per lo più frammenti ceramici piuttosto piccoli, sono databili entro uno spazio temporale che va dalle fasi finali dell'età del Bronzo (XIV-X sec. a.C.) a tutta l'età del Ferro (X-I sec. a.C.). Pochi reperti risalgono all'epoca medievale e pochissimi a quella romana.

In particolare, malgrado il sito oggi si presenti in fase di crollo sul versante e dunque non sia possibile (secondo i dati attualmente disponibili) indagare un paleosuolo intatto, il lavoro svolto dai volontari del G.A.T. in stretta collaborazione con la Soprintendenza ha consentito di precisare come si trattasse di un sito abitato (non una necropoli, dunque) da popolazioni celto-liguri che si dedicavano anche alla produzione della ceramica in loco. Tale affermazione è avvalorata dal ritrovamento di frammenti di forno e da alcuni reperti che attestano la lavorazione della ceramica (due "brunitoi" - ossia levigatoi per la superficie dei vasi -, un pettine in bronzo per la decorazione).

I reperti ceramici di Castelvecchio sono caratterizzati da una grande varietà di decorazioni, che vanno ben al di là delle classiche "impressioni digitali": questo fatto, così come il grande numero di frammenti rinvenuti (quasi trentamila in quattro anni di attività), si spiega anche considerando la lunga e pressoché continuativa frequentazione che il sito ha subito in età protostorica.

Alcuni vasi erano realizzati con impasti molto depurati e in qualche caso (come nel frammento di vaso multidecorato qui raffigurato) la tecnica di esecuzione era così raffinata che sicuramente, perlomeno durante l'età del Ferro, questo sito ha visto all'opera dei vasai d'eccezione. Anche nell'età del Bronzo, comunque, la produzione ceramica era tutt'altro che scadente, dal momento che sono stati rinvenuti frammenti con decorazioni paragonabili a quelle recuperate nell'importante sito palafitticolo del lago di Viverone.

Depurata o grossolana che sia, la ceramica è di per sé un materiale resistente che supera quasi indenne il trascorrere del tempo; in qualche caso è stato così possibile recuperare abbastanza frammenti da rimettere insieme recipienti quasi interi; tali vasi (uno dei quali qui raffigurato) sono stati successivamente restaurati a cura del laboratorio della Soprintendenza Archeologica e oggi si trovano esposti al Museo di Antichità di Torino nella nuova sala dedicata al territorio piemontese.

Prima pagina: le ragioni di una mostra
Geomorfologia | La collina torinese in età preistorica | Castelvecchio: il sito protostorico
Cenni di toponomastica | La Centuriazione di Chieri | L'acquedotto romano di Chieri |
Epigrafi chieresi | La via Fulvia
Il versante torinese della collina | La necropoli longobarda di Testona | La ceramica longobarda (Testona) | Ingerenze vescovili: Landolfo e Carlo | La via Francigena fra Torino e Chieri | I Templari |
Santa Maria di Celle | San Pietro di Celle
Castelvecchio: la fortezza medievale | Il "castrum" vescovile di Testona | Testona: l'origine del Comune | Testona: l'espansione nel "poderium" | Testona: distruzione o abbandono? | Da Testona a Moncalieri
Bric San Vito | Monfalcone, un insediamento scomparso | Il castello di Montosòlo
La misurazione del tempo nel Medioevo | Monete medievali in Piemonte | Come si parlava nel Chierese | Antiche unità di misura | Il paesaggio collinare nel Medioevo | Orti medievali
Volontariato in collina | Info sul Gruppo Archeologico Torinese
Bibliografia